Confederazione Grande Nord Trentino A.A.
#Rinascelasperanza

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Storia nostra: Cattaneo e la sua Italia Federale negli Stati Uniti d'Europa

Carlo Cattaneo riteneva che l'indipendenza del paese, in conseguenza delle profonde diversità storiche e sociali delle sue regioni, dovesse assumere un carattere non già unitario e centralistico, bensì federale con la costituzione degli Stati uniti d'Italia (federalismo). Nelle aspirazioni di Cattaneo l'Italia federale avrebbe dovuto diventare parte dei futuri Stati uniti d'Europa.
Da ricordare un suo pensiero in cui sottolineava ciò che oggi possiamo tranquillamente considerare di massima attualità. 
«...Nel sistema accentratore un’enorme massa di affari è sottratta alla competenza dei consigli locali e rovesciata a Roma, si che il paese è schiavo della burocrazia e dei ministeri. Il governo federale, invece, affida agli uffici centrali le sole funzioni politiche di interesse nazionale, lasciando alle amministrazioni locali, più vicine agli interessi, tutta la direzione della vita locale. Al Parlamento centrale Carlo Cattaneo riserva un "alto diritto di cassazione", vale a dire il diritto di modificare le locali deliberazioni per quello che le faccia contrastare con gli interessi nazionali. Il sistema federale eviterebbe, inoltre, quel sacrificio degli interessi locali degli uni a quelli degli altri che avviene nell’assemblea nazionale unica. L’idea di decentrare l’amministrazione, nel senso di trasferire ad uffici governativi periferici le funzioni degli uffici governativi centrali, non piaceva al Cattaneo, poichè riteneva che questo sistema si ridurrebbe ad un semplice dislocamento della burocrazia centrale nelle provincie, in forma di «satrapie». Le regioni, i Comuni: ecco le basi del sistema federativo del Cattaneo. Le città sono per lui, come illustrava nel 1836, le «patrie locali», e chi «prescinde da questo amore delle patrie locali, seminerà sempre nella rena». E sarebbe, a suo parere, un grave errore quello di «rimaneggiare» i Comuni per ingrandirli. Così scriveva a questo proposito, nel 1864: «È un errore che l’efficacia della vita comunale debba farsi maggiore colla incorporazione di più comuni in un solo, vale a dire, con una larga soppressione di codesti plessi nervei della vita vicinale.
Nelle riviere dei mari e dei laghi e in molte e molte altre parti d’Italia, vediamo floridi comuni di qualche centinaio di famiglie dedicate all’industria, alle arti belle, alle lontane navigazioni, attendere con egual cura a ingentilire il luogo nativo. Ma se il piccolo comune venisse incatenato a una maggioranza di rustici villaggi, dispersa per valli e selve, o popolata di braccianti vagabondi, quel geniale fermento rimarrebbe sopraffatto o oppresso.
Il piccolo comune ha diritto di continuare nel suo seno, quel modo d’essere che gli è proprio, benchè non sia quello in cui possano consentire i suoi vicini.
E anche a questi il vicino e libero esempio potrà giovare. Se un comune, provveduto già di strade e d’acque, venga per volontà non sua congiunto ad altro comune cui la natura e il caso non abbia egualmente favorito, poco si curerà di contribuire col suo denaro ad opere delle quali non avrebbe giovamento suo proprio. Quindi, fra i mali assortiti consorzi impotenza e discordia...
Meglio vivere amici in dieci case, che vivere discordi in una sola. Dieci famiglie ben potrebbero farsi il brodo a un solo focolare; ma v’è nell’animo umano e negli affetti domestici quella cosa che non si appaga colla nuda aritmetica e col brodo».

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